Fino agli anni ‘60, prima dell’arrivo delle grandi industrie, la maggior parte della popolazione lavorava nei campi. Oltre alla paga, ogni lavoratore riceveva un sussidio, ad esempio latte, legna, frumento o farina.
Sono passati quasi settant’anni, ma la realtà dell’epoca sembra molto distante dal mondo in cui viviamo oggi. Pensiamo solo alla preparazione del pane, presenza quotidiana sulle nostre tavole, un tempo momento di collaborazione e condivisione familiare.
La sera ci si riuniva nelle stalle per stare al caldo e preparare l’impasto che, coperto con un panno, lievitava durante la notte.
All’alba del giorno seguente, qualcuno amalgamava l’impasto con la gremola, l’antenata dell’impastatrice, per poi dare forma ai panoni. Qualcun altro si occupava di accendere il forno.
Si infornava verso le nove del mattino e a mezzogiorno il pane era pronto sulle tavole. Se la farina scarseggiava, si creavano delle associazioni tra famiglie e si suddivideva il pane una volta cotto.
I forni erano all’interno delle cascine: uno in via Marconi 36, uno nel cortile di via Mazzini 127 e uno in via Vittorio Veneto. Anche molti abitanti di Cremezzano e Scarpizzolo venivano a cuocere il pane a Oriano.
Poiché si impastava e infornava solo il sabato, il pane doveva bastare per tutta la settimana e per tutta la famiglia.
Le nostre mamme e le nostre nonne ce lo nascondevano perché non finisse subito. Quando toglievano il pane, noi, che non avevamo niente da mangiare, andavamo dentro al forno a raccogliere i pezzettini per mangiare… era tutto quasi carbone!
Da un ricordo di Girolamo Monteverdi, abitante di Oriano.